Una delegazione di giornalisti precari ha incontrato, insieme ai vertici Fnsi, il ministro del Lavoro, Andrea Orlando. Non succede spesso, anzi forse è una delle poche volte, se non la prima. In questo modo il sindacato dei giornalisti ha voluto che il ministro sentisse direttamente da chi vive ogni giorno la precarietà del lavoro giornalistico, le condizioni in cui sono costretti a operare in Italia migliaia di cronisti, senza tutele contrattuali, con retribuzioni inadeguate e inquadramenti da cococo o partita Iva che nascondo veri e propri rapporti di dipendenza.
«Una situazione simile e sovrapponibile certo a quella di molti altri lavoratori italiani – ha osservato la delegazione – ma che nel caso dell’informazione pone non soltanto un problema di dignità del lavoro e delle persone, ma anche e soprattutto di qualità della democrazia. Un’informazione sempre più affidata a lavoratori non tutelati rischia, infatti, di diventare sempre meno autorevole e credibile, con gravi ripercussioni sulla qualità del dibattito pubblico e sulla tenuta delle istituzioni democratiche. Le aziende editoriali continuano a far ricorso ai pensionamenti anticipati dei giornalisti con il solo scopo di sostituire progressivamente il lavoro dipendente con il lavoro povero, non tutelato, sfruttato e quindi ancor più ricattabile e meno libero».
Per questa ragione, i giornalisti precari hanno espresso l’auspicio che Governo e Parlamento possano intervenire con efficaci norme di contrasto, impedendo, per esempio, che forme di inquadramento diverse dal lavoro dipendente, come le collaborazioni coordinate e continuative, vengano utilizzate dalle aziende editoriali per mascherare il lavoro subordinato.
«Siamo grati al ministro del Lavoro, Andrea Orlando, per l’attenzione che ha rivolto alla situazione lavorativa di numerosi giornalisti italiani – afferma Raffaele Lorusso, segretario generale della Fnsi –. Le diseguaglianze sono diventate il tratto distintivo di questa epoca. Occorre trovare forme di contrasto della precarietà, una condizione inaccettabile che indebolisce la qualità dell’informazione e condanna una generazione di giornalisti e di lavoratori a non aver un futuro».
