Pubblichiamo il saluto che Giancluca Amadori, presidente uscente dell’Ordine dei giornalisti del Veneto, ha inviato a tutti i colleghi. Il Sindacato giornalisti Veneto lo ringrazia per l’impegno e la presenza al fianco dei colleghi nelle battaglie per la tutela dei diritti e per l’osservanza dei doveri nel lavoro giornalistico e nell’esercizio della professione, portate avanti insieme sul territorio con agli altri colleghi consiglieri regionali e nazionali. I tempi che si prospettano non sono per nulla facili. E l’informazione mai prima era stato sotto attacco come in questo periodo, e su più fronti. Gli ultimi dati di vendita dei giornali cartacei fotografano una situazione molto critica e la Rete pare aver travolto qualsiasi regola. Più di ieri, più di oggi, serve che la categoria sia unita. I colleghi che si sono spesi nell’Ordine e che si apprestano a farlo – e che Sgv ringrazia – avranno il sostegno di tutti.
Care colleghe, cari colleghi,
prima di lasciare la presidenza che ho ricoperto per 14 anni voglio ringraziare i tanti di voi che mi sono stati vicini in questi anni, condividendo gli sforzi per far diventare l’Ordine la casa dei giornalisti veneti e per condurre insieme le numerose battaglie a difesa del diritto di informazione e della dignità del lavoro giornalistico.
In questi anni, con la collaborazione dei consiglieri che si sono alternati e in sinergia con il Sindacato, ce l’abbiamo messa tutta, in una fase particolarmente difficile per la categoria; in un contesto in cui sono sempre di meno gli strumenti a disposizione – normativi e contrattuali – su cui far leva per tutelare la professione.
Siamo riusciti ad inventare dal nulla un sistema di formazione professionale, attenta in particolare alle nuove leve – praticanti e pubblicisti – presa a modello da molte altre regioni; abbiamo avviato un fattivo dibattito e confronto sulle principali tematiche relative alla deontologia professionale e alla conseguente attività disciplinare; l’Ordine si è attivato in numerosi casi per garantire il rispetto della legge 150 sugli uffici stampa, contestando molti bandi ritenuti non conformi al dettato normativo; sono stati denunciati casi di abuso di professione, ormai sempre più frequenti; assieme al Sindacato ci siamo schierati a sostegno dei colleghi vittima di aggressioni, intimidazioni e querele bavaglio, sollecitando anche interventi legislativi a tutela del lavoro giornalistico; ci siamo battuti per ottenere la tanto attesa legge sull’equo compenso: la qualità dell’informazione passa anche attraverso una retribuzione dignitosa.
Al prossimo Consiglio, al quale auguro un buon lavoro, il compito di proseguire il cammino intrapreso, con l’obiettivo di fornire risposte alle tante questioni ancora aperte, ma anche di mantenere la categoria unita e compatta di fronte agli attacchi all’autonomia della professione che arrivano, purtroppo, anche dagli editori, che vorrebbero trasformare il lavoro giornalistico in attività impiegatizia, sottopagata e con sempre meno tutele, e di conseguenza autonomia e indipendenza e poter tutelare soprattutto i giovani e la parte più debole e meno tutelata della categoria.
Sul fronte nazionale una delle sfide urgenti da affrontare è sicuramente quella della riforma della legge professionale, per dotare il giornalismo di uno strumento adeguato ad affrontare i cambiamenti epocali del mondo dell’informazione.
Nel lasciare l’Ordine regionale, e pronto ad impegnarmi a livello nazionale con lo stesso entusiasmo e impegno, ho pensato di compilare una sorte di breve “vademecum di autodifesa” con qualche suggerimento pratico per riuscire a tutelarsi il più possibile nello svolgimento di una professione sempre più a rischio.
A tutti un simbolico abbraccio (l’unico consentito in tempi di Covid).
Gianluca Amadori
CORRETTEZZA PROFESSIONALE
Credibilità e autorevolezza sono essenziali per il giornalista: di conseguenza, poiché mettiamo la nostra faccia e la nostra firma nel lavoro quotidiano, ad ispirare la nostra attività devono sempre essere i principi di correttezza, lealtà e buona fede, e dunque il rispetto delle norme deontologiche. La deontologia deve essere rispettata anche quando scriviamo sui social: dunque evitiamo offese, aggressioni verbali e tutti i comportamenti non consoni con il decoro professionale. Il giornalista ha un obbligo di correttezza anche nei confronti dei colleghi: in passato l’Ordine si è occupato di giornalisti con ruoli di vertice in aziende editoriali accusati di maltrattare i sottoposti e i relativi procedimenti disciplinari si sono conclusi con una sanzione. Per potersi tutelare al meglio di fronte a prepotenze e vessazioni è necessario raccogliere prove dell’eventuale comportamento scorretto dei colleghi, tra cui testimonianze e registrazioni.
LA RESPONSABILITÀ DEL GIORNALISTA
La responsabilità è sempre personale, sia sul fronte disciplinare sia su quello penale e civile (querele e richieste di risarcimento danni). Ciascuno di noi risponde di ciò che scrive, ma anche dei titoli che decide di fare, delle fotografie che pubblica. Quindi è meglio non forzare mai e, nel caso di qualche incertezza, di notizia non del tutto verificata, è consigliabile inserire un particolare in meno piuttosto che uno in più.
Accade spesso che, di fronte al Consiglio di disciplina il giornalista incolpato si difenda spiegando che è stato il superiore gerarchico a indurlo a violare un precetto deontologico (o semplicemente a consigliarlo male), ad esempio in relazione al caso di un minorenne o della vittima di una violenza sessuale da tutelare. È una giustificazione che non basta, salvo che non sia possibile provare di aver preso le distanze da una decisione non condivisa. Lo stesso vale anche nei processi penali per diffamazione o nelle cause per risarcimento danni.
Di conseguenza è necessario fare particolare attenzione e operare con cautela, avendo piena consapevolezza dei propri diritti e dei propri doveri.
Un tempo le aziende editoriali fornivano tutela e assistenza (anche legale) e si schieravano a sostegno dei propri giornalisti, redattori interni o collaboratori. Oggi non sempre è così, e dunque è necessario tutelarsi anche su questo fronte.
Spesso le contestazioni riguardano i titoli: dunque è necessario prendere le distanze da quelli di cui non siamo gli autori. Se ci si accorge di un titolo fuorviante, errato, diffamatorio a corredo di un proprio servizio, è opportuno mettere subito per iscritto ai superiori le proprie osservazioni, in modo da poter dimostrare in futuro, se necessario, la propria estraneità. Anche perché, purtroppo, a differenza dei testi, i titoli non vengono firmati e spesso viene fatta un’automatica associazione (spesso non corrispondente alla realtà dei fatti) tra autore del pezzo e autore del titolo.
Sono sempre più frequenti i casi in cui i vertici delle testate giornalistiche tendono a non assumersi la responsabilità di ciò che viene pubblicato, “scaricandola” su semplici cronisti e collaboratori: per tutelarsi è consigliabile mettere sempre per iscritto la propria posizione di contrarietà; togliere la firma dal pezzo, se non si condividono modifiche o il titolo viene forzato in contrasto al contenuto del testo (come previsto dal Contratto di lavoro); rifiutarsi di effettuare attività in violazione delle norme e, nel caso in cui si sia obbligati a farlo, mettere per iscritto che ci si limita ad eseguire un ordine, una disposizione del superiore. Svolgere mansioni che spettano a capiservizio o capi redattore può essere utilizzato per addebitare responsabilità a chi ha svolto quella mansione, nel caso di violazioni o errori. E’ consigliabile, dunque, farlo soltanto su indicazione specifica scritta dei propri superiori.
Nel caso di articoli modificati senza il consenso dell’autore è consigliabile segnalare la cosa per iscritto prendendo le distanze dalle avvenute modifiche, in modo da poter utilizzare successivamente tale comunicazione nel caso di procedimenti disciplinari, cause civili o denunce penali per dimostrare la propria estraneità.
Nel caso di fotografie inviate alla redazione per la pubblicazione, è opportuno fornire per iscritto precise indicazioni (ad esempio, la necessità di oscurare il volto di un minorenne): il rischio, altrimenti, è quello di essere chiamati a dover rispondere delle omissioni o degli errori commessi da altri in quanto, a distanza di tempo, nessuno si ricorderà (o vorrà ricordare) chi ha materialmente operato in redazione.
Deve essere sempre accurata. Possibilmente devono essere sentite più fonti, in modo da incrociare le informazioni ricevute. La fretta, la velocità, non sono una giustificazione valida per non effettuare le verifiche. Una verifica accurata, oltre ad essere un obbligo deontologico, ci può “salvare” nel caso in cui la notizia, successivamente, dovesse risultare sbagliata: in tal caso, infatti, al giornalista potrà essere riconosciuto di aver fatto tutto il possibile e che l’errore non può essere a lui addebitabile.
CONSERVARE I DOCUMENTI
Per potersi difendere in maniera adeguata è necessario conservare per lungo tempo il materiale che è stato raccolto e utilizzato per redigere i propri servizi: i testi delle interviste, i comunicati stampa, i documenti utilizzati; anche gli appunti possono essere utili. In sede civile la prescrizione è decennale, il che significa che una causa per risarcimento danni può essere iniziata fino a dieci anni dopo la pubblicazione di un servizio giornalistico. Sul fronte penale fortunatamente i tempi sono più brevi: la querela deve essere presentata entro tre mesi dal giorno in cui la persona offesa è venuta a conoscenza della diffamazione.
REGISTRARE LE INTERVISTE
È consigliabile registrare le interviste e i colloqui con le fonti d’informazione per poter dimostrare di aver rispettato il pensiero dell’intervistato e di aver riportato le informazioni in maniera corretta: capita sempre più spesso, infatti, che le dichiarazioni rese vengano poi ritrattate. La normativa sulla privacy non consente di registrare colloqui che intercorrono tra persone diverse dal giornalista (cosa che equivarrebbe ad un’intercettazione abusiva), ma è sempre possibile per il giornalista registrare un’intervista che sta svolgendo, o il colloquio con un’altra persona, premurandosi di informare l’interlocutore che è in corso una registrazione.
Quasi tutto ciò che si trova in Rete è coperto da diritto d’autore e non può essere liberamente utilizzato. Anche le foto dei profili Facebook non sono di libero utilizzo. Di conseguenza il consiglio è di evitare di utilizzare materiale fotografico tratto dalla Rete senza apposito consenso di chi ha i diritti di quel materiale. Il rischio, in caso contrario, è di doversi difendere da richieste di pagamento per le immagini utilizzate o di risarcimento danni. Le stesse aziende editoriali diffidano i propri giornalisti dall’utilizzare materiale fotografico tratto da Internet senza previo consenso perché, assieme al giornalista, possono essere chiamate in causa per gli eventuali risarcimenti.
PEC
La Posta elettronica certificata (Pec) è uno strumento reso obbligatorio da una legge dello Stato per tutti gli iscritti ad un Albo professionale, e dunque anche per i giornalisti. Chi non comunica il proprio indirizzo Pec (domicilio digitale) all’Ordine deve essere sospeso dall’Albo fino a quando non si mette in regola: soltanto dopo la trasmissione del proprio indirizzo Pec alla segreteria la sospensione amministrativa viene revocata dal Consiglio dell’Ordine.
Grazie alla Pec è possibile inviare e ricevere messaggi di posta elettronica certificata, che equivalgono a una raccomandata con ricevuta. Quando si spedisce un messaggio tramite Pec a un’altra casella Pec, viene generata una ricevuta di spedizione e di ricezione: a questo punto è certificato che il destinatario ha ricevuto quella comunicazione nella sua casella Pec e da quel momento decorrono i termini di legge (anche quelli per proporre eventuali impugnazioni/ricorsi). Non è necessario che il destinatario apra il messaggio. Dunque, bisogna fare grande attenzione: tutti gli uffici statali, infatti, possono utilizzare la Pec per comunicare con il cittadino, notificando ad esempio multe, cartelle esattoriali ecc. Dimenticare di aprire la propria casella Pec e di controllare cosa arriva, significa correre il rischio di esporsi ad azioni esecutive per non aver pagato le sanzioni nei termini previsti. Molti provider di Posta elettronica mettono a disposizione degli abbonati una App attraverso la quale leggere le Pec direttamente attraverso il proprio smartphone. In ogni caso è raccomandabile attivare un alert sulla propria casella di posta elettronica “normale” che ci avvisi dell’arrivo di una Pec, così da poter poi controllare in maniera tempestiva cosa ci è stato spedito.
Anche le comunicazioni ufficiali dell’Ordine avvengono attraverso Pec ed è dunque essenziale verificare periodicamente la propria casella (domicilio digitale).
PROCEDIMENTO DISCIPLINARE
È sicuramente una seccatura finire all’attenzione del Consiglio di disciplina territoriale (Cdt), ma non è nulla di drammatico. Di fronte ad esposti e segnalazioni il Cdt è obbligato ad aprire un’istruttoria e normalmente chiede sempre chiarimenti al collega oggetto dell’esposto per ottenere da lui tutti gli elementi utili per comprendere la questione, e dunque anche per poter archiviare in maniera argomentata, se nel caso. Dunque, è consigliabile rispondere sempre alle richieste di sommarie informazioni (normalmente trasmesse all’indirizzo Pec del giornalista).
Di fronte al Cdt non è obbligatorio avvalersi dell’assistenza di un legale: ci si può difendere da soli, sia nella fase delle sommarie informazioni (la risposta può limitarsi ad una memoria scritta, oppure il giornalista può chiedere di essere ascoltato dal Consiglio di disciplina) sia nella fase del procedimento disciplinare vero e proprio, che viene aperto dal Cdt con apposita delibera notificata via Pec. Dopo l’apertura formale del procedimento disciplinare il giornalista incolpato viene convocato di fronte al Cdt, ma anche in questo caso può non comparire e inviare una memoria nei termini previsti. Le delibere disciplinari sono di norma notificate tramite ufficiale giudiziario. Le possibili sanzioni sono: avvertimento, censura, sospensione e radiazione. Le prime due non hanno effetti pratici sullo svolgimento della professione, mentre sospensione e radiazione impediscono di poter svolgere la professione per un periodo più o meno lungo. Da circa un anno è entrata in vigore una nuova norma che prevede la possibilità di aumentare la sanzione in base alla recidiva, ovvero alla ripetizione di violazioni deontologiche dello stesso tipo.
Le sanzioni inflitte dal Cdt sono impugnabili di fronte al Consiglio di disciplina nazionale. E, successivamente, rispettivamente di fronte al Tribunale e Corte d’appello in collegio integrato (tre giudici togati e due giornalisti) e Cassazione. Il tutto deve avvenire entro 7 anni e mezzo per evitare la prescrizione. La sanzione di primo grado emessa dal Cdt è immediatamente esecutiva: spetta all’Ordine indicare il periodo nel quale dovrà essere scontata. Le sanzioni disciplinari possono essere impugnate entro 30 giorni dall’avvenuta notifica e può essere chiesto al Consiglio nazionale la sospensione dell’esecutività in attesa della discussione nel merito.
QUERELE BAVAGLIO
Querele e richieste di risarcimento sono da sempre uno strumento per cercare di intimidire il giornalista e indurlo a non scrivere più di un determinato argomento o persona. Purtroppo, l’attuale normativa non prevede adeguati strumenti di tutela per il giornalista: in sede civile si può ottenere la condanna del denunciante per causa temeraria, ma sono rare le decisioni in questa direzione da parte dei giudici. Dunque, per difendersi in maniera adeguata è necessario innanzitutto documentare la correttezza del proprio lavoro (l’accuratezza delle verifiche effettuate, ad esempio) e la fondatezza delle cose scritte, attraverso documenti e testimoni. In sede penale e civile è necessario farsi assistere da un avvocato. Da anni Ordine e Sindacato stanno conducendo una battaglia per garantire ai giornalisti maggior tutela contro le querele bavaglio.
PARERI DI CONGRUITÀ
I compensi per il lavoro giornalistico sono sempre più bassi ed è sempre più frequente che qualche committente si rifiuti di pagare l’attività giornalistica di cui ha usufruito. Per cercare di far valere i propri diritti molto spesso non basta una raccomandata di sollecito di pagamento, ma è necessario rivolgersi all’autorità giudiziaria. Preliminarmente all’avvio di una causa per ottenere la liquidazione delle spettanze dovute, o per contestare l’esiguità dei compensi ricevuti, è possibile rivolgersi al Consiglio dell’Ordine al quale sottoporre la fattura emessa o la richiesta di compenso, illustrando dettagliatamente il lavoro svolto (e le eventuali spese sostenute) per ottenere un parere di congruità; parere che potrà essere successivamente prodotto in sede giudiziaria come “prova” della fondatezza della propria richiesta di pagamento.
SINDACATO
Un tempo i giornalisti erano tutti iscritti al sindacato: non appena si faceva ingresso in una redazione ci si premurava di iscriversi. Oggi, con le redazioni ridotte all’osso, i colleghi che collaborano da esterni tendono a sottovalutare l’importanza dell’iscrizione al Sindacato, salvo pentirsene quando si trovano in difficoltà e hanno necessità di assistenza. L’iscrizione al Sindacato, soprattutto per i freelance, costa davvero poco e, in cambio, sono numerosi i servizi messi a disposizione dei colleghi. Ma soprattutto, in caso di necessità, il giornalista non è più da solo. E, al tempo stesso, più alto è il numero degli iscritti, più il Sindacato ha forza per rivendicare i diritti della categoria.
FORMAZIONE
La formazione professionale è un obbligo introdotto per legge per tutti i professionisti iscritti all’Albo professionale, e dunque anche per tutti i giornalisti. Personalmente ritengo che sia una grande opportunità e non una seccatura, come pensa qualche collega; è un’occasione per approfondire questioni poco conosciute, per ripassare ciò che si era studiato per preparare l’esame di abilitazione professionale, oppure per aggiornarsi su norme nuove, oltre ad essere un momento di incontro e confronto. Non fare la formazione significa esporsi al rischio di sanzioni disciplinari che, nel caso di inadempienze ripetute nel corso degli anni, possono arrivare fino alla sospensione dalla professione. Dunque il consiglio è di non sottovalutare l’obbligo formativo: ci sono molti interessanti corsi online che consentono di acquisire i crediti necessari senza doversi muovere da casa. I possibili motivi di esenzione sono indicati nel Regolamento (che è possibile trovare sul sito dell’Ordine), ma l’esenzione non deve essere chiesta alla fine del triennio per “sanare” la mancata frequenza. È necessario presentare istanza per tempo. Nel caso di problemi che hanno reso difficoltosa l’acquisizione dei crediti è consigliabile scrivere al Consiglio prima di essere chiamati a risponderne di fronte al Consiglio di disciplina.