Un patto con le istituzioni per il futuro dell’informazione, mobilitazione nazionale Fnsi – invito a partecipare al presidio regionale organizzato dal Sindacato giornalisti Veneto il 1. Giugno a Verona a partire dalle 11.30
Questo il testo della lettera inviata alle e ai parlamentari del Veneto dalla segretaria regionale Sgv Monica Andolfatto e firmata anche dal vice segretario Massimo Zennaro
“Nella nuova Italia che nascerà dall’attuazione del Pnrr c’è posto per l’informazione intesa come attuazione dell’articolo 21 della Costituzione? Il dovere di informare, il diritto di essere informati in maniera corretta e pluralistica è un “bene comune” da tutelare.
È questo il tema centrale alla base della mobilitazione in atto da parte dei giornalisti che stanno manifestando per la dignità, il lavoro, la libertà della stampa, insieme alla salvaguardia del proprio istituto di previdenza, l’Inpgi.
Il settore da oltre un decennio sta soffrendo difficoltà strutturali solo in parte dovute alla trasformazione del modello produttivo: in cinque anni, tra il 2013 e il 2018 erano già stati persi quasi 3mila posti di lavoro, il 15% del totale, un’emorragia occupazionale che non ha eguali.
E se non bastassero il ricatto occupazionale e lo sfruttamento lavorativo, con un precariato diventato quasi strutturale, i cronisti sono limitati nel loro mestiere anche dallo spettro delle querele bavaglio e del carcere per il reato di diffamazione.
Il Parlamento può fare qualcosa? Sì, adottare alcuni provvedimenti che non hanno alcun impatto sul bilancio dello Stato, ma che ne hanno uno fortissimo sulla democrazia e sulla libertà di stampa:
– norma per l’abolizione del carcere per i cronisti, la proposta di legge giace in Senato: nel giugno del 2020 l’allora presidente della Corte Costituzionale, Marta Cartabia, ora ministra della Giustizia, ha firmato un’ordinanza che dà un anno di tempo al Parlamento per intervenire sulla pena detentiva, manca un mese;
– querele bavaglio, sono diventate una vera emergenza democratica: se si vuole impedire a un giornalista di fare il proprio mestiere basta fargli arrivare una richiesta di risarcimento milionario. In Senato giace la proposta di legge, un unico articolo;
– legge sull’equo compenso 233/2012, non è mai stata attuata. Fissa una soglia minima di pagamento in un mercato del lavoro che vede articoli pagati cinque, sette o addirittura un euro;
– abolizione del cococo, il collaboratore coordinato e continuativo è una figura impiegata in maniera massiccia nel settore editoriale e che maschera lo sfruttamento selvaggio di quelli che sono stati definiti “braccianti” o “rider” dell’informazione, giornalisti che svolgono lo stesso lavoro dei dipendenti ma senza tutele; la norma era stata inserita nel Milleproroghe del 2019, e affossata all’ultimo miglio;
– riforma della Rai, si invoca il varo di una legge che sottragga la governance ai governi in carica, restituendo all’azienda il ruolo di servizio pubblico che sta alla base della sua attività;
– riforma del sistema delle provvidenze pubbliche: cooperative, minoranze, emittenza radio tv locale, basta con i contributi a pioggia, vanno premiate solo le aziende che fanno buona informazione e danno occupazione regolare.
La situazione dell’Inpgi
Il bilancio della gestione pensionistica dell’Inpgi è in pesante passivo essenzialmente per lo squilibrio tra lavoratori e pensionati.
In modo simile all’Inps, anche l’Inpgi ha un rapporto attivi/pensionati di circa 1,5 e una dinamica degli stipendi che negli ultimi anni ha visto una costante diminuzione della contribuzione da parte degli assunti.
A questo si aggiunge il ripetuto ricorso delle aziende ai prepensionamenti con una ulteriore progressiva diminuzione delle entrate.
Negli ultimi 10 anni sono usciti dalle redazioni attraverso i prepensionamenti circa 1.200 giornalisti su una platea complessiva di contribuenti che attualmente è di circa 15.000 lavoratori dipendenti, in pratica l’8% del totale del lavoro dipendente.
Inoltre, ancora negli ultimi 10 anni, Inpgi si è sostituita allo Stato erogando ai dipendenti delle aziende in crisi ammortizzatori sociali per circa 500 milioni di euro.
Ogni mese le uscite per il pagamento delle pensioni sono circa una volta e mezzo le entrate da contributi.
Anche in questo caso la situazione è simile a quella della Previdenza dell’Inps ma, mentre per la previdenza pubblica lo stato ogni anno garantisce il pagamento delle pensioni attraverso la fiscalità generale (cui anche i giornalisti contribuiscono), per gli istituti privatizzati come l’Inpgi questo non è possibile.
Nel 2020 il disavanzo ha raggiunto la cifra di quasi 250 milioni di euro. Per arrivare al pareggio di bilancio servirebbe un aumento del 50% dei contributi a carico di lavoratori e aziende o la diminuzione di almeno il 30% della spesa per il pagamento delle pensioni. Entrambe le ipotesi ovviamente non sono praticabili.
La proposta avanzata dagli amministratori dell’Inpgi, e accolta con la legge 58 del 28/6/2019, di allargamento della base contributiva dal 2023 attraverso l’inserimento dei comunicatori nelle categorie gestite dall’Istituto, è una prima, importante ma non sufficiente, risposta.
E’ necessario, visto l’aggravamento della crisi del settore e visto l’ulteriore ricorso ai prepensionamenti, anticipare questo ingresso.
E’ altresì necessario superare la figura del giornalista autonomo collaboratore. Quasi sempre si tratta, sia nel caso delle cococo che delle partite Iva, di contratti che mascherano a tutti gli effetti rapporti di lavoro dipendente, di vera subordinazione.
La precarizzazione del lavoro giornalistico non solo non garantisce livelli di reddito sufficienti ai singoli giornalisti, con tutte le ricadute anche sulla qualità dell’informazione fornita ai cittadini, ma appesantisce anche la situazione dell’Istituto di previdenza, affossando ancor di più il bilancio dato che i contributi obbligatori non vengono versati alla cassa principale che è quella che eroga la maggior parte delle pensioni.
In definitiva l’Inpgi negli ultimi anni ha gestito, senza oneri per lo Stato, la pesante situazione di uno dei settori che ha risentito maggiormente della crisi. Ha garantito gli ammortizzatori sociali ai lavoratori delle aziende in difficoltà sostituendosi all’intervento statale. Ha consentito alle aziende editoriali di pre-pensionare migliaia di colleghi garantendo la sopravvivenza di molte testate.
Dignità, lavoro, libertà è lo slogan scelto per chiedere a Governo e Parlamento più attenzione ai temi centrali del settore dell’informazione che abbiamo cercato di sintetizzare.
Augurandoci che vogliate aderire al nostro presidio, condividendone lo spirito tutt’altro che corporativistico”.