Giornalisti attivi e pensionati insieme per salvare l’Inpgi

In Inpgi by SGV Redazione

Si è parlato anche di Inpgi nella seduta di insediamento del direttivo regionale del Sindacato giornalisti Veneto che ha eletto la giunta.

E non poteva che essere così visto che è di appena tre giorni fa, il 23 giugno, l’adozione da parte del consiglio di amministrazione dell’Istituto – di cui fa parte anche Massimo Zennaro, riconfermato vice segretario vicario Sgv – la delibera che introduce una nuova manovra correttiva imposta dalla stessa legge dello stato che prevede l’allargamento della base contributiva.

Si tratta di un pacchetto di misure che è stato messo a punto ancora lo scorso gennaio e varato ora perché la mobilitazione messa in atto dalla Fnsi e dalle associazioni regionali di stampa ha contribuito ad aprire una reale interlocuzione sul punto con il governo.

Sollecitato dalle domande dei colleghi Zennaro ha risposto nello specifico a ogni singolo tema posto all’attenzione.

Premessa – Va chiarito da subito che, tranne gli interventi in capo al cda (taglio del 10% compensi amministratori, taglio del 5% costi struttura, taglio del 5% contributi ad associazioni regionali di stampa – che sono esecutivi, gli altri a carattere normativo saranno validi se e quando i ministeri vigilanti li approveranno. E comunque con una durata di cinque anni.

Interventi necessari?  Sì, imposti dalla legge approvata dal governo Conte 1 come avevamo già spiegato a inizio anno. La delibera era stata congelata nell’attesa che il governo andasse al di là dei proclami e delle buone intenzioni. Poi c’è stata la crisi e il cambio di esecutivo e si è dovuto ricominciare tutto da capo.

Sono due le misure alla voce entrate che, anche se già illustrate lo ripetiamo circa cinque mesi fa e comunicate a tutti i colleghi, fanno più discutere: il contributo dell’1% calcolato sulle retribuzioni degli attivi e sulle pensioni, e la riduzione del cumulo.  Non fa piacere a nessuno dover imporre altri sacrifici ma se si ha la responsabilità di amministrare si deve cercare di salvare l’istituto creando il minor danno possibile agli iscritti ma sempre in un’ottica di solidarietà vera. Per gli attivi non è un prelievo, ma in realtà un “risparmio forzoso” perché la somma permetterà un punto percentuale di contribuzione aggiuntiva con il risultato di aumentare la pensione futura. Facciamo un esempio: su una retribuzione media di un redattore ordinario poniamo di 38mila euro, si tratta di 380 euro spalmati su 14 mesi, poco più di 27 euro al mese. Di questi 380 euro ne torneranno indietro circa il 38% e cioè la percentuale di aliquota Irpef prevista; in proiezione la pensione sarà aumentata di circa 100 euro lordi all’anno. Quindi in definitiva i 27 euro al mese di contribuzione lorda, diventano, per effetto dell’Irpef 17 al mese, e porteranno ad un aumento della pensione calcolata con il metodo contributivo. Per uno stipendio più alto, aumenta ovviamente il prelievo, ma l’aliquota Irpef più alta porta a una diminuzione del prelievo netto. Altro esempio reddito di 60.000 euro, l’1%=600 euro anno. Irpef al 44%. Prelievo netto di 336 euro anno da dividere sulle 14 mensilità. Prelievo netto al mese 24 euro. Ma i 600 euro di contributi aggiuntivi porteranno a una pensione più alta.

Ma i pensionati? Hanno già sostenuto un “prelievo” nel 2017Qui il richiamo è al vincolo solidaristico con i colleghi al lavoro e con quelli che lo saranno. I conti dell’Inpgi non possono stare in piedi con l’attuale rapporto che ogni due euro che entrano, tre escono per pagare le pensioni. I diritti acquisiti non si toccano e nessuno li mette in discussione ma il periodo è difficilissimo, siamo l’unica cassa privatizzata in cui la media pensionistica supera la media retributiva, in un rapporto più o meno di 65mila a 55mila euro all’anno. Senza dire che molte delle pensioni in essere hanno beneficiato di trattamenti di miglior favore, calcolo retributivo sulla media degli ultimi stipendi, uscite anticipate dal lavoro con scivoli anche di 15 anni.

E per quanto riguarda il cumulo? L’Inps lo consente ma sostanzialmente per permettere a chi ha pensioni basse o addirittura molto basse di “arrotondare”. La pensione media Inps è di circa 1.250 euro al mese, molto più bassa di quelle erogate dall’Inpgi. In molti casi lavorare dopo la pensione può essere una necessità. Logica che è stata mantenuta anche dalla delibera. Il cumulo è abbassato a 5.000 euro solo per chi ha pensioni superiori allo stipendio del redattore ordinario, ad oggi circa 38.000 euro. Per chi ha una pensione inferiore rimane la vecchia norma che prevede cumulo fino a 22.000. Quindi chi ha pensioni inferiori ai 38.000 euro, può cumulare fino a 22.000 euro; chi ha pensioni più alte può cumulare fino a 5.000 euro, soglia oltre la quale la pensione verrà decurtata. Anche in questo caso si tratta nello spirito di una misura di equità che preserva chi ha pensioni più basse mentre cerca di evitare che gli editori utilizzino il lavoro dei pensionati per sostituire quello dei colleghi più giovani o precari.

Conclusione – È chiaro che qualsiasi misura di contenimento del deficit avrebbe avuto effetti sui redditi e sulle pensioni presenti o future; quello che si fatto è aver adottato misure dal valore solidaristico  e con particolare attenzione alle fasce più deboli della nostra professione.

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