8 marzo di impegno sindacale per azzerare il gap salariale anche nell’informazione. Parola di Alessandra Costante

In Sindacale by SGV Redazione

Le donne fanno fatica. A fare tutto. Anche sindacato. Eppure ci sono nel sindacato e anche in tutti gli altri ambiti di attività. Ricoprono pure ruoli importanti e si affermano pure. Ma sono ancora, purtroppo, eccezione e non regola. E comunque in qualsiasi settore siano occupate la loro retribuzione media resta inferiore a quella dei colleghi maschi. Anche nel mondo dell’informazione. Oggi 8 marzo ne parliamo con Alessandra Costante, seconda donna, dal 1908, a guidare la Federazione nazionale della stampa italiana, il sindacato unitario delle giornaliste e dei giornalisti.

Decidere di definirti segretaria e non segretario l’hai qualificato un atto politico.

«Le parole sono importanti. A maggior ragione in istituzioni prettamente maschili e patriarcali. Il patriarcato è un fenomeno culturale antico e informazione, partiti e sindacati ne sono permeati; alcuni però, come la Fnsi, nel tempo hanno maturato solidi anticorpi. Sulla coniugazione al femminile direi che non è una mera querelle lessicale, ma non può essere neppure l’approdo di decenni di lotte per l’uguaglianza. È un passaggio. Poi c’è il resto, la sostanza di come colmare il pay gap.Gestire un ruolo di rappresentanza non è mai facile. Se sei donna risulta più difficile. È un dato di fatto».

Cosa significa essere sindacalista e donna?

«Sono diretta. Per me non fa alcuna differenza. L’impegno è impegno. Essere al servizio di tutti. La sfida prioritaria che ci aspetta, accanto alla battaglia per la libertà di stampa, è quella del rinnovo del contratto giornalistico. E qui sì serve affrontare la questione femminile che investe la parità salariale. Le colleghe, qualsiasi sia la loro qualifica, in media hanno un retribuzione inferiore ai colleghi. Le ragioni? Possono essere diverse. Semplifico. In primis la non disponibilità a lavorare sempre e comunque perché si devono sobbarcare la cura della famiglia, intesa sia come figli e compagno, che come genitori anziani o congiunti con disabilità».

Il che si traduce spesso nel sacrificare ambizioni, aspirazioni… carriera.

«Sì. Che le donne sono migliori non lo dico io ma le statistiche. Voto di laurea più alto, performance più brillanti, preparazione più qualificata. Ma c’è sempre un ma. Sono convinta che l’Italia non è ancora un paese pronto per attuare appieno l’articolo 3 della Costituzione in particolare laddove recita che compito della Repubblica è rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese».

Vuoi dire che l’Italia è un paese patriarcale?

«Intendo che siamo in una realtà che non ha ancora rimosso ostacoli innanzi tutto di tipo culturale, stereotipi che assegnano alla donna ghettizzazioni e subalternità ineluttabili, rispetto alle quali le madri spesso sono corresponsabili magari inconsapevolmente. La violenza contro le donne non nasce per caso. E una forma di violenza, certo meno cruenta del femminicidio che è l’acme della patologia, risulta pure il gap nella retribuzione».

Cosa ti auguri per questo 8 marzo?

«Che riusciamo a contribuire a colmare il divario, a costruire una Italia che assegni a donne e uomini le stesse possibilità occupazionali e di carriera. Cominciamo con ridare al lavoro dignità e rispetto. Cominciamo dal giornalismo contrastando sfruttamento, precariato, ricatto occupazionale».

 

Photo credits, Christin Hume

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