Buon compleanno. Era il 25 novembre del 2017 quando le Sale apollinee del Teatro La Fenice hanno visto la nascita de Il Manifesto di Venezia. Nato su iniziativa del Sindacato giornalisti Veneto con l’adesione della Commissione pari opportunità Fnsi, della Cpo Usigrai, e dell’associazione GiULiA Giornaliste, il Manifesto si è posto l’obiettivo di promuovere, per la crescita democratica e civile della nostra società, il rispetto e la parità di genere nell’informazione contro ogni forma di violenza e discriminazione attraverso parole e immagini.
Perché Venezia? Perché è la città che ha dato i natali a Elena Lucrezia Cornaro Piscopia, prima laureata al mondo il 25 giugno 1678. Perché il Veneto? Perché è la regione che ha dato i natali a Tina Anselmi, prima ministra della Repubblica italiana, nominata il 29 luglio 1976. Perché il 25 novembre? Perché è la Giornata mondiale contro la violenza sulle donne. Perché il Teatro La Fenice? Perché da anni è in prima linea in una originale campagna di denuncia culturale del femminicidio.
La novità della proposta, rispetto alle carte deontologiche che già autoregolano la professione, sta nell’aver chiesto alle giornaliste e ai giornalisti di aderire, con la propria firma, al Manifesto di Venezia, compiendo quindi un’azione concreta, un atto condiviso, nella convinzione che la pratica quotidiana della parola giornalistica, nella cronaca di femminicidi e non solo, contribuisca a modificare la rappresentazione del mondo: per questo l’informazione attenta e rispettosa risulta fondamentale e deve diventare ancor più necessaria. In tutti i campi. Si chiede una disponibilità ad accettare, a valutare, le raccomandazioni suggerite nel testo che è e rimane punto di partenza di una riflessione in continua evoluzione.
Oggi Il Manifesto di Venezia è stato inserito nella formazione obbligatoria dell’Ordine e l’adozione dell’articolo 5 bis nel Testo Unico dei doveri del giornalista ne recepisce lo spirito.
Di strada ce n’è da fare ancora molta: ma cominciare a camminare insieme e in una direzione inclusiva è già un passo in avanti molto significativo.
L’approccio che si è privilegiato, tenacemente, è quello dell’atto volontario, dell’impegno in prima persona, del mettersi in gioco e quindi in discussione, in quanto appartenenti a una comunità, quella delle giornaliste e dei giornalisti.
E si è scelto quale campo di azione la violenza contro le donne, in un momento storico in cui questo fenomeno, per dimensioni e modalità, ha assunto e continua ad assumere carattere endemico. Anche in Veneto. Dall’inizio dell’anno nella nostra regione si sono registrati 10 femminicidi, 1o donne assassinate da persone ricomprese nella cerchia familiare e amicale.
Le giornaliste, i giornalisti possono/debbono fare qualcosa? Le parole non sono neutre e hanno un potere immenso nel contribuire a formare e a sedimentare la rappresentazione del mondo: come lo vediamo, come lo percepiamo, come lo comunichiamo, come lo viviamo.
Usarle in maniera attenta si traduce nel recuperare il ruolo e la responsabilità sociale dell’essere giornalista, del fare il giornalista, così come sancito nella legge istitutiva dell’Ordine: la verità dei fatti, la considerazione della persona che sta, spesso suo malgrado, dentro i fatti.
Servono un salto di prospettiva, una rivoluzione culturale che, insieme alla cronaca, metta al centro dell’informazione la persona – donne, uomini, bambini, anziani, stranieri, migranti … – nel solco di quella battaglia intrapresa da tempo contro fake news e hate speech.