Verso il 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Stupri, pestaggi, torture, soggezione fisica e psicologica, morte violenta. Nonostante emancipazione, consapevolezza, assunzione di responsabilità e indubbi passi avanti sulla strada della parità dei diritti, sono ancora tante e terribili le forme di violenza contro le donne.
E accanto a queste che lasciano il segno tangibile nella carne e che spesso cancellano la vita, ce n’è una che passa sotto traccia, che molte volte viene rigettata o schernita. Una violenza subdola, surrettizia, infida che passa attraverso l’uso dei termini, delle frasi, sia parlate che scritte, e anche delle immagini: è la violenza del linguaggio contro la quale si sta combattendo una battaglia prima di tutto culturale ancorché sociale, all’interno della quale il 25 novembre 2017 ha preso forma e sostanza il Manifesto di Venezia, grazie al Sindacato giornalisti Veneto, alla Cpo della Fnsi e dell’Usigrai e all’associazione Giulia Giornaliste.
Si tratta di un decalogo per una “buona informazione” rivolto alle giornaliste e ai giornalisti per una sottoscrizione attiva e cosciente: se firmo, accetto le raccomandazioni e le metto in pratica nel lavoro quotidiano in redazione, nei giornali cartacei, nel web, nelle radio, nelle tv, negli uffici stampa.
Un migliaio le giornaliste e i giornalisti che hanno firmato finora il “Manifesto di Venezia” e le adesioni sono sempre possibili: “Cambia il linguaggio, libera le parole dalla violenza”.
Una esortazione che bene si attaglia anche al prossimo incontro via Zoom https://fb.me/e/6LdW94co2 organizzato da la Sede pensante Coalizione Civica per Padova, mercoledì 25 novembre, alle 18 con la presentazione del libro “Odio – Manuale di resistenza alla violenza della parole”. L’autore, il linguista Federico Faloppa, ne discuterà con il filosofo Umberto Curi. Introdurrà Annalisa Di Maso, presidente di Coalizione civica.
Scopriremo, fra gli altri aspetti, che, come scrive Faloppa, riportando un’intervista rilasciata a La Repubblica da Jaron Lanier, autore del libro Dieci ragioni per cancellare subito i tuoi account social, “l’odio è uno strumento più efficace quando si tratta di manipolare gli individui attraverso gli algoritmi. Ci vuole pochissimo per creare il panico ed eccitare gli animi e molto invece per ritrovare la calma. Google e Facebook, e i social in generale funzionano in base a un sistema di feedback rapidissimi, è questo che interessa ai loro clienti, gli inserzionisti. I post che diffondono stati d’animo negativi garantiscono un impatto maggiore perché la reazione dell’utente è immediata. La reazione dopaminergica, l’adrenalina che scatenano in noi i like e i commenti ai post sono frutto di tecniche appositamente utilizzate dai social per creare dipendenza”.
Il mezzo social amplifica come mai prima l’odio e i discorsi d’odio agendo sul narcisismo dell’utente attraverso manipolazioni e “risonanze” che ne orientano condotte e scelte, come consumatore, ma anche come “animale sociale” che riconosce se stesso per lo più individuando un “nemico”. Primo bersaglio secondo il Barometro dell’Odio di Amnesty sono i migranti, seguiti dalle donne e da tutti i soggetti fragili della società.